Oltre parole, ricorrenze e simboli del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, serve un vero cambio di passo per affrontare questo fenomeno in modo concreto.
La violenza di genere non è un fenomeno che si accende e si spegne con una data sul calendario: è una realtà strutturale, radicata nelle disuguaglianze culturali e negli stereotipi, come confermano quotidianamente i dati ufficiali. Un sistema che, spesso, si nutre di silenzi, normalizzazioni, frasi che iniziano con “sì, ma…”.
Anche per questo scelgo di non condividere immagini simboliche: l’ho fatto in passato, come tanti altri, ma nulla sembra davvero cambiare. E allora mi chiedo: che senso ha l’ennesimo gesto rituale se, intorno a noi, gli episodi violenti continuano ad aumentare? Le cronache parlano chiaro: aggressioni, femminicidi, chiamate ai numeri d’emergenza, statistiche che fotografano un sistema di protezione ancora fragile. E mentre molti Paesi hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, la sua applicazione effettiva resta insufficiente.
Occorre andare oltre le celebrazioni: oltre le panchine rosse inaugurate una volta l’anno, oltre i post sui social che scorrono come acqua e poi scompaiono, oltre i convegni dove spesso si ritrovano le stesse voci. Il 25 novembre si accendono iniziative, ma il giorno dopo si torna nell’ombra della quotidianità.
La risposta deve essere tangibile: sanzioni certe per chi commette violenza, protezione reale per chi la subisce, supporto economico e psicologico alle donne, investimenti in politiche di prevenzione. I dati allarmanti richiamano soprattutto il valore dell’educazione: educazione affettiva nelle scuole, percorsi formativi nelle comunità, programmi che decostruiscano stereotipi e modelli tossici. Nessuno nasce violento, ma chi cresce senza guida rischia di diventarlo.
Contrastare la violenza significa costruire comunità che creino parità sostenute da una rete vigile e responsabile. Una rete fatta di persone, prima ancora che di Istituzioni: familiari, amici, colleghi, scuole, datori di lavoro. Occhi sentinella che non diano nulla per scontato, orecchie capaci di ascoltare ciò che non viene detto. Non basta ricordare una volta l’anno: la responsabilità è quotidiana, collettiva, costante.
Servono competenza, rigore, formazione. Giornalisti che informino correttamente, forze dell’ordine e operatori preparati, politiche pubbliche basate su dati e non su slogan. Occorrono prevenzione, monitoraggio costante e risposte immediate e qualificate da chi ha il compito di proteggere. La sensibilizzazione è utile, ma da sola non salva vite: è importante, ma non più sufficiente.
Eppure c’è speranza: quella di chi lavora costantemente senza clamore. Operatori, insegnanti, volontari, professionisti, centri antiviolenza, che resistono e spesso fanno più di quanto dovrebbero. Il loro impegno non riempie auditorium, ma cambia le storie, una persona alla volta. Ogni giorno, e non solo nelle ricorrenze, costruiscono un mondo più umano, dove parità e rispetto sono realtà.
Le date servono, certo. Ma ricordare non basta: la violenza contro le donne va contrastata sempre.
Il punto non è partecipare a rituali, ma avere il coraggio di trasformarli e trasformarci.
Non più parole, ma passi concreti, continui, quotidiani.
Questa è la strada.
Oltre il 25 novembre, davvero.
Maria Brigida Langellotti