Da una città all’altra. Auto, treno, pullman, metropolitana, piccoli “viaggi della speranza”, per raggiungere la meta di turno. Soste brevi, permanenze più lunghe. Bagaglio a mano, zaini, valigie o pacchi postali, per avere un po’ di casa ovunque.
Poi la vera casa, fatta di famiglia e amici di sempre. Il tempo di fare scorta di affetto e genuinità. Di preparare un dolce e di sistemare un po’ la casa. Il tempo da dedicare al mio Papà, ai miei affetti più cari e a chi mi vuole bene da sempre. Chi mi aspetta con pazienza ed impazienza. Chi mi cerca per un saluto, un caffè, un consiglio. O semplicemente per la voglia di rivedermi e riabbracciarmi.
È il mio tenero, normale, speciale, fine settimana di adesso. Una pausa che chiude settimane di nuove conoscenze, amicizie, stimoli professionali.
Settimane da pendolare a bordo di un treno che ti fa riappropriare di un ritmo lento e ti conduce, pian piano, nel tran-tran della città. Che ti fa riscoprire la meraviglia di una mamma che legge una favola al suo bambino e che concede il tempo di apprezzare dal finestrino tutto il fascino della Murgia.
Settimane che, a poco a poco, svelano un dialetto strettissimo, modi di dire per me bizzarri e angoli di una città dalla doppia anima: una Bari che ti rende cauta e, al tempo stesso, ti affascina con i sapori del suo cibo e il profumo del suo mare. Basta un attimo per respirare tutta la “baresità” al mercato del pesce e per apprezzare la genuinità della sua gente. E basta poco per cogliere le sfaccettature dei suoi quartieri, con i vari pregi e difetti. Una città dalle diverse sfumature, multietnica e radicata nelle tradizioni, che ti accoglie e che aspetta il tuo ritorno.
Settimane che si alternano tra il frastuono di spazi dinamici e la quiete del Redentore che sa accogliere e dare pace. Così come fanno sentire a casa don Francesco, don Mario, don Nando, Antonietta ed Elena.
Giorni che oscillano tra slanci di entusiasmo e alcune tensioni. Con qualche fitta che arriva improvvisa come il vento e ti ricorda di rallentare un momento.
Tempo di responsabilità, di cambiamento, che richiama anche una sorta di leggerezza. Uno spaccato di vita, nella “baresità”, che mi fa conoscere continuamente nuove realtà: talvolta buffe, a tratti surreali, un po’ irrazionali, ma anche razionali. Un tempo che mi consente di salutare cari amici al Sud, come il mio amico dell’università. In una sorta di replay, ci si ritrova nelle vicinanze: per lavoro, per caso, per amicizia.
Giorni scanditi dall’impegno per nuovi obiettivi e dalla cordialità e simpatia di colleghe e colleghi. Nuove cose da fare e da imparare per mettersi alla prova e per dare un piccolo contributo alla complessità “dell’universo giovani”. Nuove conoscenze che, pian piano, si schiudono come fiori a primavera e si trasformano in amicizia. Una quotidianità, insomma, che non ti aspettavi e che vivi con curiosità, responsabilità e un po’ di accortezza.
Una quotidianità che rimanda ad occhi vivaci e, talvolta, persi in chissà quali pensieri. Che regala sorrisi da labbra luccicanti e strette di mano per suggellare una sorta di vicinanza. Una quotidianità che ti stupisce, un po’ ti spiazza e che ti manca quando te ne allontani, perché ti manca quel mix di voci silenziose e chiassose allo stesso tempo, quella gestualità teatrale e quel linguaggio “tutto loro”, che tra discorsi e silenzi difende una dignità personale.
E, ad ogni fine giornata, pensi a quanto sia complesso conciliare il desiderio di dare un picolo contributo in termini di informazioni e maturità e favorire un confronto vivace e responsabile, con l’esigenza di richiamare all’appello regole e ordine.
Pensi al ruolo delicato di tutto il personale, ago della bilancia essenziale per traghettare il sistema verso una dimensione responsabile e consapevole, in linea con la crescita formativa e personale dei ragazzi.
Un periodo che mi ha dato il privilegio di conoscere persone speciali, colleghe e amiche: Rosaria e Annamaria. Tra emozione e commozione, con loro ho riassaporato una sorta di calore materno. Senza dirglielo e senza dirmelo, è successo un fatto speciale che mi ha fatto sentire coccolata, protetta e sostenuta. Riescono a darmi tanto di sé con le loro attenzioni, premure, consigli, la loro fiducia. Le telefonate o i messaggi della sera per sapere se sono arrivata, per chiedermi anche solo “Come stai?” o per dirmi “Non preoccuparti”.
Poi Barbara, Lucia, Giusy, Susanna, Candida, Samantha, Maria Teresa, Luigi, Giovanni, Michele, Donato (e altre nuove belle conoscenze: voci e sguardi diventati familiari che arricchiscono di bello questi nuovi percorsi di vita): colleghe e colleghi generosi e solidali, sempre pronti a tendere la mano e ad essere un riferimento. E ancora la cordialità e la professionalità di Anna e il garbo e la scrupolosità di Alessandra. La gentilezza della signora Rosa e di Francesco sempre cordiale in laboratorio, la disponibilità e la pazienza di Caterina, Filippo, Anna, Mariella, Nino, Silvana e di tutti i loro colleghi. Un affetto e una condivisione che mi rende privilegiata e a loro va tutta la mia gratitudine.
Giorni in cui senti ancor di più la vicinanza delle persone che ti vogliono bene da sempre. La mia famiglia, fonte di un affetto sincero e incondizionato. Papà che mi saluta con delicatezza e mi aspetta con gioia senza mai far pesare la distanza, mia mamma che c’è nell’essenza di tutto nonostante l’assenza. I miei fratelli attenti e premurosi anche da lontano, le loro famiglie, le mie nipotine e i miei nipotini così speciali. Legame intenso, confronto e crescita con mio nipote più grande. Ad aspettarmi ad ogni partenza e ad ogni arrivo anche mia zia, mio zio e i miei due cugini. Loro: il primo abbraccio che mi accoglie in stazione, il calore di un pranzo in famiglia, l’intesa di uno sguardo materno. E poi, il chihuahua Cico e la sua cara padroncina (mio dolce sostegno), la nostra affidabile amica che sa essere un prezioso rinforzo quotidiano, la mia amica di sempre e tutte le amiche e gli amici, vicini e lontani, che mi tengono per mano anche a distanza e non mi fanno mai mancare il loro aiuto e il loro affetto. Penso a tutti loro e mi sento fortunata, consapevole di avere la più grande ricchezza del mondo. Anche a tutti loro va la mia gratitudine.
Inevitabilmente, manca sempre il tuo mondo, quella parte di te che lasci a casa, come se fosse la prima volta che parti. Come se non avessi mai vissuto in almeno una decina di città diverse. Ma pensi anche a quanto hai imparato in questo periodo, a quanto hai da imparare, a chi hai conosciuto finora e a tutto ciò che hai ancora da raccontare.
Forte di una nuova consapevolezza e dell’insegnamento di questa nuova esperienza: non è fondamentale, tantomeno obbligatorio, dare a prescindere. È importante, invece, dare a chi merita davvero un po’ del proprio tempo. Così come è importante saper riconoscere gli occhi sinceri di chi c’è sempre, anche se in punta di piedi, nei momenti felici e in quelli meno belli. Pronto a gioire con te e a sostenerti. Pronto a chiederti “Come stai?” o a dirti “Che bello rivedersi”. Non bisogna raggiungere un pareggio nel donarsi, ma l’importante è raggiungere un giusto equilibrio. Perché volersi bene significa anche questo: prendersi cura dei propri bisogni e delle proprie emozioni, ritagliarsi un po’ di tempo, sapersi ascoltare, e rispettare se stessi, oltre che gli altri.
E mentre disfo una valigia, ne preparo già un’altra. Pronta per una nuova settimana e a salutare, alle prime luci dell’alba, il mio paese ancora assonnato. Non è il Trenino rosso delle grandi escursioni in montagna che mi aspetta. Ma è il mio treno. Quello che mi porta verso una nuova avventura. Da vivere con positività, fiducia e la giusta dose di spensieratezza e coraggio.
Maria Brigida Langellotti
acconto scritto col cuore più che con la penna, ben descrive la propria anima facendone immaginare sensibilità e generosità. Il treno accarezza i valori della vita e sosta dove più forte batte il cuore: l’amato padre.