Degli amici ci si fida. Punto. Così come della famiglia. Logico. È questo che abbiamo appreso fin da piccoli. La raccomandazione più comune tra i genitori è sempre stata quella di “Non dare retta agli sconosciuti. Di non fidarsi”. Perché degli sconosciuti era “ovvio” che non ci si potesse fidare. Per questo, intere generazioni sono cresciute con la chimera di famiglie speciali e di amichetti del cuore, ma anche con l’idea degli sconosciuti come persone in malafede. Poi accade che si diventa adulti e si capisce che la realtà non è propriamente una favola. Che non sempre risponde alle regole del raccontino e, prima o poi, ci si trova a prenderne atto. Spesso anche in maniera brutale, così come conferma la cronaca della nostra contemporaneità.
Bambine stuprate, bambini massacrati dal bulletto di turno, mogli e fidanzate uccise, ragazze derise e sbeffeggiate sul web con insulti e battute al veleno, anziani e neonati maltrattati in quelle stesse strutture dove pensavano di trovare cura, attenzione e amore. Fatti avvenuti e che proliferano come se tutto questo fosse la normalità della vita di ognuno. Fatti che mettono i brividi perché raccontano le storie di chi è rimasto realmente vittima di tali cattiverie. Svelano nomi, particolari, sofferenze. Sofferenze sbattute in faccia a chi rimane coinvolto nella trappola di queste bassezze, impigliato nella rete di una tale ferocia. Fatti che fanno inorridire ancora di più perché, spesso, avvengono tra l’indifferenza, all’interno di mura familiari, nascoste dai silenzi di quelle voci cosidette amiche, sotto agli occhi di sguardi considerati sicuri.
Non è la trama dell’utimo film dell’orrore nelle sale cinematografiche. È quello che avviene in alcune case, che anziché essere porti sicuri ed accoglienti, si trasformavo in loculi dove si strappa il candore e si calpesta l’innocenza di tante giovani. Dove si sotterrano la dignità e la libertà delle proprie compagne a colpi di proiettile e a suon di calci e pugni. È quello che, spesso, succede nei vicoli di molte città, e non solo di sera. Oggi il bruto agisce anche di giorno, perché lo stesso bruto sa che il suo orrore potrebbe restare impunito, o “alla peggio” potrebbe scontare qualche settimana ai domiciliari. Lo stesso orrore si insinua anche in alcune strutture per anziani e per i bambini. Quante persone deboli maltrattate dagli stessi educatori che avrebbero dovuto rassicurarli, confortarli, accudirli. E poi la nuova “moda”. Quella del bullismo. La moda dell’orrore che manda avanti il più forte per colpire il più indifeso. Dove? A scuola, nelle comitive, ai campetti. Nei posti più familiari. Mal che vada avranno una tirata di orecchie e qualche scappellotto.
Ed ecco, così assistiamo a storie tristi come quella della bambina violentata a Rimini in una discoteca sotto agli occhi delle “amiche”. “Amiche” che hanno, poi, diffuso il video della violenza. Non meno dolorosa è la storia della ragazza campana che non ha retto il peso degli insulti per un video fatto circolare in rete. Il carico di questa sofferenza è stato così forte, tanto che la ragazza ha preferito mettere la parola fine alla sua vita. Così come c’è da inorridire di fronte alla storia dell’adolescente violentata dal branco in Calabria: tanto silenzio rotto a tratti da frasi meschine come “Se l’è cercata”. In pochi, pochissimi, ad esprimere solidarietà in una fiaccolata.
Tutto questo nel giro di pochissimi giorni. Ma ci sarebbe da continuare, senza andare molto indietro nel tempo. Basti pensare alle mogli e fidanzate ammazzate per gelosia, per uno scatto d’ira. Alle giovani violentate anche da familiari e pseudo amici. Agli anziani umiliati e picchiati in alcune case di cura. All’infanzia maltrattata. Ai bambini nel mirino dei bulli che, talvolta, cedono a tal punto da non avere né la forza di ribellarsi e né di confidarsi.
Mi rendo conto che questo mondo non va bene. Non piace. Questa brutalità che si insinua nella quotidianità rende questo mondo malato con tanti complici e pochi puri. Che il nostro Paese soffre di un vero e proprio cancro, a dirla con le parole di Oriana Fallaci, riferendosi al terrorismo e all’Occidente.
Ecco, il vero cancro dei giorni nostri è quello dell’anima. La cura non è impossibile. Ma penso manchi la voglia di rimboccarsi le maniche e il coraggio di cambiare. In primis dovrebbe fare la sua grossa parte la Giustizia. Poi dovremmo essere in grado di riappropriarci dei valori fondamentali per un vivere civile. Il rispetto, l’educazione, la dignità, la solidarietà.
Finché ci saranno mani che uccidono, bestie che stuprano, occhi che nascondono, bocche che restano in silenzio e lingue che offendono a morte, non si andrà da nessuna parte. Questo cancro si anniderà sempre di più, con il grave rischio che da taluni potrebbe essere considerato naturale.
Un Paese non cresce solo per la disoccupazione che dilania. Un Paese non cresce quando è vittima di una piaga così atroce. Che toglie la speranza, annienta la dignità, spegne i sorrisi, calpesta la libertà e segna il futuro di tante persone. Non servono solo i proclami o le scarpette rosse esibite una tantum. Occorre una presa di coscienza collettiva. Non esistono attenuanti senza complici.
La Vita è bella e va rispettata. Quella di tutti. Cominciamo a dirlo anche ai bambini che un giorno diventeranno adulti. Così, non solo impareranno a non fidarsi degli sconosciuti, ma si impegneranno di più a rispettare la vita dei propri amici, delle proprie mogli, dei propri parenti, e anche quella degli stessi sconosciuti. Perché non c’è logica nel rifiutare le caramelle dagli estranei per poi tirare calci, pugni e quant’altro. La civiltà di un Paese è funzione di ciò, non è solo legata al numero di occupati e al tasso di crescita annuo. Ognuno faccia la sua parte: Governo, istituzioni, Giustizia, educatori, famiglia. Io, noi, voi. Nessuno escluso, insomma. Che non si rimanga a guardare, che non si resti in silenzio.
Maria Brigida Langellotti