Volevo cambiare il mondo, poi sono arrivati i più bravi

Riflessioni sparse, riflessioni quotidiane in tram…

Un’Italia sempre più clientelare, dove la meritocrazia è diventata un optional.
Dove, spesso, vige la prassi delle conoscenze e dei cosiddetti “agganci”.

Dove basta avere un amico nel settore per ottenere un posto letto in ospedale, un colloquio di lavoro.

Un’Italia dove, all’improvviso, tutti sanno e possono fare tutto. E chi sa fare, ma non ne ha l’opportunità, resta indietro. Dove ci si definisce troppo facilmente giornalista, scrittore, consulente, avvocato, esperto di…, pur senza esserlo. Dove, spesso, è sufficiente “autopromuoversi”, anche se si vendono solo parole.
Dove, dunque, passa il messaggio che professionalità, gavetta e conoscenze, possono essere rimpiazzati da approssimazione ed improvvisazione.
Dove inviare curriculum o fare concorsi resta un qualcosa da “sfigati”. Dove pronunciare una parola con la “é” chiusa, anziché con la “è” aperta, riaccende la “questione meridionale” e i luoghi comuni fatti ancora di stereotipi tra Nord e Sud e di pregiudizi verso chi ha l’accento meridionale.

Dove i porti sono chiusi non solo ai migranti, ma tante sono le porte chiuse in faccia soprattutto ai giovani e agli anziani, alla solidarietà, alla legalità e alle pari opportunità. Quei “No”, a prescindere, quei “Le faremo sapere” di circostanza, che ledono le singole dignità e la dignità di un’intera nazione. Dove i valori di democrazia ed equità sono rimasti solo dei bei concetti, offuscati da violenza, razzismo e sotterfugi.

Un’Italia dove impenna la categoria dei “Mi trovo qui per caso. Non era nei miei progetti fare questo lavoro, ma lo faccio per divertirmi”. In barba a chi avrebbe voluto essere proprio lì, ma non ne ha avuto la possibilità. A chi ha investito energie e tempo in gavetta. Ma è mancata la cosiddetta chance o meglio la “chiave giusta”. Anche per questo sono nati, vari e creativi, “piani B”, exit strategy per rimettersi in gioco. La mente ha imparato ad essere flessibile come il bambù che si piega, ma non si spezza. Ha imparato a gestire il cambiamento con resilienza.

Io sono una giornalista, ma nell’era dell’improvvisazione, da domani potrei essere un chirurgo, un dentista. Chessó, potrei cambiare un catetere, scrivere un saggio di filosofia o sperimentare un nuovo sciroppo contro la tosse da reflusso. Potrei, ma non posso, perché non ho quella “chiave giusta” (oltre che le indispensabili competenze). Non posso e non voglio. Se non avessi fatto la gavetta e senza studi e sacrifici, non sarei andata da nessuna parte. Preferisco anche impiegare più tempo per raggiungere un obiettivo, ma farlo lealmente. Cadere, rialzarmi e riprovarci. In barba, e questa volta lo dico anche io, a chi è “lì per caso”, a chi afferma di giocarsi quell’opportunità “così, quasi per gioco”.

Però di una cosa sono certa: appropriarsi di citazioni altrui, spacciandole per proprie, non basta a cambiare la sostanza. Se si é arrivati lì per caso o solo per amicizia, prima o poi, si mostreranno i segnali di debolezza. La vittoria più grande resta quella di continuare ad inseguire i propri sogni, consapevoli di limiti e virtù, e senza compromessi. Determinati ad esigere un mondo piú giusto. Quel mondo che in tanti potrebbero cambiare, poiché hanno tutte le carte in regola per farlo. Ma nessuno glielo ripete abbastanza. Quel mondo che vorrebbero cambiare, prima che arrivino “i più bravi”. Ma, sì, “ai piu bravi”, lasciamoglielo almeno credere.

È ora di scendere dal tram, sono arrivata alla fermata. A fine riflessione, una signora mi strappa un sorriso: “Un momento”, dico all’autista. La nonnina: “Un moment, la signorina ha bisogno di un moment. Ecco, io ho un moment in borsa”.

E, comunque, signori… “Qual è” si scrive così… senza apostrofo. Per fare tutto, bisogna anche saperlo fare…

“Io non ho paura delle tempeste perché sto imparando come governare la mia barca” (Louisa May Alcott)

Maria Brigida Langellotti 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *